ottica

rivestimenti per lenti oftalmiche

Estratto Tesi di Laurea: Cairo Andrea

Relatore: M. Greco

Corso di Laurea in Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino

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Articolo completo : 11 min

Abstract - Le prime lenti oftalmiche erano in vetro inorganico, prive di trattamenti superficiali (chiamati anche coating); gli svantaggi nel non averne sono molti. la proposta di questa tesi è quella di illustrare l'importanza dei coating, spiegarne la composizione, i metodi per la deposizione sulla lente e come vengono testati.

INTRODUZIONE

I rivestimenti superficiali (coatings) sono delle pellicole sottili che rivestono le lenti e le trasformano in oggetti più resistenti e adatti all’uso quotidiano. [Caro J. et al., 2011]

Quando si acquista un occhiale spesso non si conosce l’importanza dei trattamenti; è compito dell’ottico fare in modo che il consumatore capisca la necessità della scelta di un trattamento piuttosto di un altro. Considerando la varietà dei trattamenti è utile fare una distinzione per capirne l’importanza.

I tipi di rivestimento visti in questo lavoro sono:

  • indurente, migliora la resistenza ai graffi;

  • antiriflesso, riduce i riflessi migliorando la qualità ottica;

  • idrofobico-oleofobico, protegge l’antiriflesso e facilita la pulizia.

La qualità ottica richiede che il controllo sulla deposizione dei coatings sia accurato e riproducibile a livello nanometrico poiché devono interagire con i legami del materiale della lente e di eventuali altri trattamenti già depositati. [Caro J. et al., 2011]

A seconda di quello che si deve depositare, il film può aderire più o meno al substrato sottostante.

Le tecniche principali per la deposizione sono:

  1. Sol-gel, deposizione da soluzione

  2. Physical vapor deposition (PVD), tra cui evaporazione e rf-sputtering

  3. Chemical vapor deposition (CVD), la quale può essere termica e plasma-enhanced.


SOL-GEL

Il sol-gel è un metodo di deposizione nel quale un sistema di particelle in soluzione (sol) gelifica (gel) per azione termica o per esposizione a UV. [Greco M., 2018]

Il sol-gel si può depositare in tre modi:

  • Dip-coating

  • Spin-coating

  • Spray-coating (immagine su Tesi completa)


Il principio iniziale è lo stesso ma si differenziano per l’esecuzione e per lo spessore desiderato

Nel dip-coating le lenti vengono inserite in strutture di supporto che consentono di immergere ed estrarre le lenti dalla soluzione; va bene per il trattamento indurente (di spessore 2-3 µm).

L’estrazione avviene lentamente (15-30 secondi), una parte del liquido rimane adesa alle facce della lente e una parte cade di nuovo nella soluzione con il drenaggio; in seguito c’è l’evaporazione per via termica o per radiazioni UV.

Si possono trattare più lenti contemporaneamente ed entrambe le facce ma non si ottiene un trattamento omogeneo a causa della gravità. Non è possibile fare trattamenti multistrato perchè c’è il rischio di perdere tutti gli strati depositati.

Lo spin-coating prevede che il trattamento superficiale si realizzi grazie alla rotazione del substrato. La lente viene posta in un macchinario, viene depositato il sol; la velocità di rotazione aumenta favorendo la distribuzione del sol per forza centrifuga. Viene fatto girare il substrato a velocità costante. È possibile deporre più strati ma tra uno strato e l’altro bisogna eseguire un trattamento termico. Si possono fare trattamenti multistrato ma si tratta una lente per volta e una faccia per volta.

Lo spray-coating è una tecnica che prevede che il sol venga direttamente spruzzato sulle lenti da trattare e quest’ultime possono essere anche irregolari. Si spruzza il sol sul substrato, poi si riscalda il campione e si ottiene il gel solidificato. Si ottiene un film di spessore omogeneo.


PVD

Un’altra tecnica di deposizione è la Physical Vapor Deposition (PVD) nella quale entrano in gioco fenomeni fisici per:

  • Evaporazione, realizzata per via termica ma poiché ha contaminazioni si utilizza un fascio di elettroni;

  • Sputtering,

Il materiale da depositare viene posto in un crogiolo realizzato in materiale refrattario che viene riscaldato.

Per evitare contaminazioni si crea il vuoto nella camera di deposizione.

I vapori della sostanza da depositare vanno verso l’alto dove si trova il substrato, si fissano su questo e condensano.

Nella tecnica ad e-beam non si toccano le pareti del crogiolo grazie all’energia ceduta dal fascio di elettroni che viene indirizzato sulla superficie del materiale da depositare. Con questo processo localizzato non si hanno contaminazioni come nel caso termico. Questa tecnica di deposizione è molto usata per l'antiriflesso multistrato.

Un'altra tecnica di PVD è lo sputtering che è una tecnica di urto di ioni di gas presente nella camera di deposizione. Poiché il materiale da depositare e le lenti oftalmiche sono dielettrici si applica una tensione alternata sfruttando la differente velocità di ioni e elettroni. In particolare si utilizzano le radiofrequenze. Una volta che gli ioni colpiscono il target posto in alto devono cadere per gravità gli atomi neutri del target che creano il rivestimento sul substrato. Così si ottiene un film uniforme e controllabile a livello nanometrico ma è una tecnica molto cara.


Il controllo della temperatura del substrato è fondamentale per assicurare l’uniformità del film e per questo motivo il substrato è raffreddato grazie a un liquido criogenico posto sotto il substrato.

Con PECVD è possibile depositare film con materiali differenti che però hanno continuità nell’indice di rifrazione. Con la PVD non è possibile depositare materiali per alcuni indici di rifrazione. La PECVD non è molto usata perché ancora più cara rispetto a PVD.

Da notare lo spessore molto limitato di idrofobico e oleofobico e di antiriflesso che è formato da molti strati sottili quindi servono trattamenti performanti come PVD o PECVD. Per l’indurente va bene anche il solgel.

Idrofobico e oleofobico è molto sottile quindi andrà via in breve tempo andando a danneggiarsi successivamente l’antiriflesso.


In particolare ho approfondito con testi scientifici il mio elaborato.


INDURENTE

Nello studio di J. Caro del 2011 vengono messi a confronto tre tipologie di test per il rivestimento indurente rispetto allo user test ovvero il test dell’utente, prova che si basa sull’utilizzo della lente in condizioni di vita reale.

Per verificare il rivestimento indurente si può procedere con il test di microscratch nel quale si utilizza una punta di diamante alla quale si applica un carico variabile crescente lineare; la lente da testare viene posta al di sotto della punta e fatta muovere in una direzione per diverse volte.

Nella figura a lato si vede la forma dell’indentatore utilizzato ed è possibile osservare che la punta solleva una parte di substrato.

Altri test utilizzati per lo strato indurente sono il Bayer test e lo steel wool test; nel primo si utilizza una sabbia di granulometria e composizione chimica nota posta all’interno di un contenitore, assieme al substrato da testare e una lente classica in CR39, che viene scosso con una certa frequenza; nel secondo si utilizza un campione di lana d’acciaio che agisce con una pressione normale rispetto al substrato in modo analogo al test di microscratch.

In seguito a questi test si effettua la misurazione dell’haze ovvero della percentuale di luce diffusa dai graffi sulla lente e la si confronta con un campione in CR39 che ha effettuato il medesimo test. La % di luce diffusa vale:

Il test di microscratch riproduce graffi superficiali simili a quelli che si creano con lo user test.

Il Bayer test è comunemente usato nell'industria oftalmica per la semplicità sperimentale, la breve durata e la buona ripetibilità.


ANTIRIFLESSO

Nello studio di Ki-Chul Kim è indicato come ottenere un efficace multistrato antiriflesso ovvero quello a gradiente di indice (graded-IR) formato da tre strati con un indice di rifrazione che aumenta avvicinandosi al substrato. Le lenti utilizzate sono polimeriche ad alto indice (n=1.60 e n=1.67) sulle quali sono stati depositati i tre strati con la tecnica PVD e-beam, anche se con la PECVD si avrebbe ottenuto continuità con gli indici anche per n più bassi.

Per realizzare questo multistrato si è utilizzato il 40% di tempo in meno e meno materiale per produrlo rispetto a un multistrato convenzionale ottenuto con la stessa tecnica. Poiché rimane una riflettenza residua relativamente bassa per i valori di luce blu-violetto si può utilizzare questo trattamento anche all’aperto oltre che per proteggersi dalle luci LED.


Le problematiche dei multistrati antiriflesso sono la fragilità e la resistenza meccanica e chimica, inoltre l’adesione al rivestimento indurente sottostante.

Per risolvere questi problemi si ricorre alla deposizione di uno strato superiore ovvero quello idrofobico/oleofobico.

IDROFOBICO-OLEOFOBICO

Il rivestimento idrofobico oleofobico è posto come ultimo strato sull’AR e serve da protezione per quest’ultimo e per facilitare la pulizia della lente.

Questo ultimo strato deve rispettare condizioni statiche e dinamiche:

  • Statiche

    • Angolo di contatto elevato, per ridurre la superficie di contatto e non cambiare la refrazione;

    • Bassa energia superficiale (< 15 mJ/m2);

  • Dinamiche

    • Basso coefficiente di attrito dinamico, in modo che l’acqua scorra più rapidamente;

    • Superficie non rugosa;

    • Superficie antistatica.

Il dinamico è fondamentale perché le lenti negli occhiali sono in verticale.

L’angolo di contatto per la condizione di idrofobicità deve essere >90° ed è l’angolo che si misura tra la fase liquida di una gocciolina d’acqua posta sulla lente e la fase solida della lente. Con angoli maggiori di 90 non viene modificata la refrazione della lente. Nella figura che segue è possibile osservare il comportamento di una gocciolina d’acqua prima e dopo il trattamento idrofobico.

L’energia superficiale di adesione del grasso deve essere bassa, con valori minori di 15 mJ/m2, in questo modo occorre minore sollecitazione meccanica per pulire le lenti dal grasso.

Il coefficiente di attrito dinamico deve essere basso, si tratta di un valore che indica la rapidità con la quale sparisce una patina d’acqua e se è basso allora l’acqua scorre rapidamente.

La superficie non deve essere rugosa al fine di evitare l’appiglio di particolati tra cui l’acqua.

L’ultima richiesta è che la superficie sia antistatica per ridurre l’adesione del particolato polarizzato (tra cui l’acqua) e per ottenere questa proprietà, la superficie viene trattata con la repulsione coulombiana.


Per realizzare uno strato idrofobico oleofobico si utilizzano gruppi aromatici o alchili con fluoro che è estremamente reattivo, l’atomo di aggancio al substrato è di carbonio. La rappresentazione delle catene di fluoro è simile a delle spazzole, come illustrato in figura; le caratteristiche polari del fluoro consentono di ottenere le cinque proprietà viste per lo strato oleofobico idrofobico. [Greco M., 2018]

Nel tempo questo tipo di trattamento è migliorato dal punto di vista di angolo di contatto e durata. Nel grafico in figura 25 vediamo che per la 1° generazione dopo 2 mesi di utilizzo dell’occhiale si raggiunge la soglia di idrofilia quindi il trattamento perde efficacia fino a scomparire del tutto dopo 6 mesi circa. Per la 2° generazione dopo 6 mesi si per l’efficacia e scompare dopo 12 mesi. Con la 3° generazione dopo i 18 mesi di arriva alla perdita di efficacia.

Gli angoli di contatto odierni (4° generazione) vanno da 110 a 117 (trattamenti NO FOG) e hanno una garanzia da 24 a 36 mesi in base ai diversi tipi di trattamento antiriflesso su cui sono da depositare (fonte listino DAI OPTICAL INDUSTRIES).


TEST QUV (LENTE CON TRATTAMENTI)

In uno studio del 2012 condotto da Tadakoro e altri è emerso che le lenti in vetro con i coating polimerici hanno comportamenti differenti rispetto alle lenti polimeriche con i medesimi trattamenti superficiali per quanto riguarda la resistenza agli agenti atmosferici.

Il test da loro utilizzato è noto come test del ciclo di radiazione UV e condensa ad alta umidità ed è un test di alterazione accelerato svolto con un macchinario QUV (Q-Laboratory UltraViolet testing). Nel Test QUV, i campioni vengono ripetutamente esposti a cicli alternati di luce UV (step 1) e condensa a temperatura controllata (step 2). Tadakoro ha eseguito 3 cicli (condizioni) differenti variando la selezione della lampada UV fluorescente, la durata dei raggi UV e le fasi di condensazione e temperatura come riportati dalla tabella che segue.

I polimeri delle lenti oftalmiche con le radiazioni UV vanno incontro a una depolimerizzazione.

A causa dell'elevata umidità anche le lenti in plastica subiscono.

I campioni testati utilizzati sono substrati piatti (CR-39) per evitare l'influenza della curvatura superficiale delle lenti oftalmiche

Per la misurazione e l'analisi della superficie degradata hanno utilizzato un microscopio ottico. Il restringimento e la morfologia superficiale dei film sottili sono stati misurati da un microscopio laser e da microscopio a forza atomica (AFM). Osservazione dello spessore del film e della morfologia delle sezioni trasversali è stata condotta utilizzando una scansione microscopio elettronico.

Nel grafico che segue si vede la profondità delle crepe per le tre condizioni messe a confronto.

Nella condizione C le crepe sono più profonde di 1 µm tranne che nella condizione A, inoltre queste crepe arrivano fino allo strato indurente.

Nelle figure 26 e 27 di seguito le immagini qualitative di una lente testata dopo il ciclo con condizione C.

Inizialmente avviene il restringimento dell'indurente con successivo restringimento degli strati dell’antiriflesso. Successivamente si hanno incrinature all'interfaccia tra l'indurente e il substrato (lente) ma non ci sono ancora crepe nel rivestimento antiriflesso.

Se la deformazione dell'indurente è lieve, il cracking è limitato al restringimento o a piccole crepe sull'interfaccia della regione indurente/substrato. Tuttavia, se la deformazione da stress dell'indurente è grande, si hanno crepe più evidenti e la delaminazione del rivestimento AR come mostrato nella figura 28 con illustrata una fotografia al SEM.

Nel grafico 1 che segue, si può vedere che la diottria della lente in vetro con indurente e antiriflesso non si è modificata con il test QUV quindi la deformazione della lente in vetro non si è verificata.

Nel caso della lente in CR-39, per la A come mostrato nel grafico 2 che segue si ha una lieve deformazione: la curvatura della superficie anteriore tende a essere più piccola al centro della lente e più grande al bordo. Con la condizione C, illustrata nel grafico 3, si può vedere una deformazione maggiore.

Se nella vita di tutti i giorni si verificasse una forte deformazione della curvatura delle lenti, queste non potrebbero essere utilizzate per correggere correttamente la vista. Tuttavia, studiando il cracking, si è scoperto che il test QUV è un potente strumento per valutare la durata delle lenti oftalmiche per mezzo di condizioni estreme. Questo metodo è utile per lo sviluppo di una lente migliore.


CONCLUSIONI

Trattamenti superficiali di buona qualità sono sicuramente utili a migliorare la qualità delle lenti, soprattutto se in materiale polimerico.

Purtroppo, col passare del tempo, i trattamenti vanno incontro ad usura e di conseguenza peggiorano le qualità ottiche della lente.

Pur avendo uno strato indurente che aumenta la resistenza ai graffi, le lenti oftalmiche rimangono comunque oggetti molto delicati.

Con lo sviluppo della tecnologia è possibile verificare, in ambienti controllati, fino a che punto è possibile spingere i trattamenti, e testare la resistenza agli agenti atmosferici e alla semplice manutenzione.

Bibliografia:

Si rimanda ad Articolo di Tesi da link o QR code

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