Ottica


Valutazione del campo visivo percepito nella lettura con lenti progressive

Estratto Tesi di Laurea: Rossotto Marco

Relatori C. Visconti, M. Serio

Corso di Laurea in Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino

METODO E CARATTERIZZAZIONE DEL CAMPIONE

Lo studio che verrà affrontato in questa tesi riguarda l’analisi soggettiva del campo visivo attraverso l’utilizzo di lenti progressive. In particolare si vuole comprendere se vi siano alterazioni del campo visivo nei soggetti portatori di lenti progressive così da appurare se queste ultime permettano la massima escursione degli assi visivi o al contrario la limitino. Sono state analizzate le abilità di lettura di 50 soggetti di età compresa tra 47 e gli 84 anni, di cui 22 uomini e 28 donne. Per la validazione del test sono state analizzate le risposte di 7 soggetti di cui si ignoravano le caratteristiche refrattive, mentre per quanto riguarda i 50 soggetti che hanno preso parte al test vero e proprio sono stati annotati, su di una scheda precompilata, tutti i dati dell’occhiale quali: potere diottrico, addizione e caratteristiche funzionali della lente. Sono stati scartati dall’analisi finale due soggetti: uno era un soggetto monocolo e il secondo ha comunicato di soffrire di maculopatia. L’apparato utilizzato per la presa dati (Figura 1) comprende: una mentoniera, un leggio ed il target da osservare. La mentoniera fissata su una piccola lastra di legno di circa 50 cm di lunghezza, oltre a rendere lo strumento più omogeneo e facilmente utilizzabile, permette all’esaminatore di avvicinare il leggio e di conseguenza il target, alla mentoniera su cui è appoggiato l’esaminato della distanza necessaria per eseguire il test. L’apparato per la rilevazione dei dati è stato posizionato su di un tavolo adiacente ad una parete specchiata, in modo tale da permettere all’esaminatore di avere il controllo completo sull’esaminato e ridurre la probabilità che quest’ultimo sia indotto in errore da diverse distrazioni. Attraverso l’utilizzo del luxmetro ‘Cosine Corrector LP 471 PHOT Probe Delta OHM’, fornito dall’Università di Torino, è stato possibile rilevare la quantità di lux presente all’interno della stanza al momento dell’acquisizione dei dati. Una prima rilevazione è stata effettuata posizionando il luxmetro sulla base dello strumento utilizzato per la presa dati indirizzando il sensore verso l’alto, dove per altro si trova la sorgente luminosa che illumina la stanza, facendo una media di tre differenti misurazioni il dato ricavato è 209,91±0,01 lux. In seguito, è stata effettuata una seconda misura posizionando il sensore del luxmetro all’altezza della mentoniera rivolto verso il target del test, così da ricreare il più fedelmente possibile la quantità di luce che il soggetto percepisce durante l’esecuzione del test. anche in questo caso mediando tre differenti misurazioni è stato ottenuto un valore pari a 55,40 ± 0,01 lux. Sulla mentoniera è stato posizionato un occlusore mobile, in modo da assicurare l’occlusione completa e permettere all’esaminato di svolgere il test monocularmente. La distanza tra il target ed il piano occhiale del soggetto è di 40 cm. Il target è formato da due stringhe alfanumeriche ciascuna collocata su di un foglio differente all’interno di un supporto mobile sul quale era posizionato un righello, in modo da poter rispettare le misure soggettive DI (misurata con interpupillometro). La singola stringa è formata da una mira di fissazione rappresentata da una stella e 10 caratteri alfanumerici: stringa per occhio destro A4T1C6E3G5 e stringa per occhio sinistro 2F5U3K4V6C (Figura 2). Lo spazio che separa la mira di fissazione e il primo carattere misura circa 3,4 mm, equivalente alla dimensione dei caratteri. Tale valore è stato ricavato calcolando, per mezzo della trigonometria, la dimensione metrica corrispondente ad un angolo di 0,5° alla distanza di 40 cm, per una lunghezza totale della stringa di 68 mm. Il test viene sottoposto nel seguente modo: una volta posizionata la mira attenendosi alle misure soggettive di DI (distanza interpupillare), l’operatore occlude uno dei due occhi andando ad osservare le abilità del controlaterale. Il soggetto esaminato è invitato ad osservare la mira a forma di stella. Una volta che l’operatore si è assicurato che l’esaminato stia fissando la mira, si chiede al soggetto di provare a leggere la lettera più adiacente alla mira. È molto importante che sia il soggetto che l’esaminatore siano molto concentrati durante il test, per evitare che quest’ultimo sposti la fissazione da un carattere all’altro. Una volta che il carattere viene letto dal soggetto l’operatore ne registra la risposta, secondo uno schema deciso in precedenza. Se il carattere viene riconosciuto l’esaminatore si appunta il risultato con una ‘X’, se viene letto ma non riconosciuto ovvero sbagliato viene registrato con un ‘O’ e se il carattere viene omesso o non è stato visto l’operatore non segna nulla. L’operatore durante l’esecuzione del test si deve assicurare per mezzo dell’osservazione diretta e per mezzo dell’osservazione della parete specchiata, che il soggetto mantenga la fissazione sulla mira e che non venga indotto in tentazione nell’inseguire il carattere da leggere. Per scoraggiare il comportamento involontario del soggetto, infatti sono stati utilizzati caratteri alfanumerici e non soltanto caratteri alfabetici che in qualche modo avrebbero potuto aiutare l’esaminato durante lo svolgimento del test. Una volta giunti al punto in cui il soggetto non riesce a riconoscere o percepire altri caratteri si passa alla valutazione delle abilità dell’occhio controlaterale.


ANALISI DEI DATI

Uno tra i primi aspetti analizzati riguarda la prestazione del singolo soggetto in relazione al limite anatomico della parafovea (area circostante alla fovea). È stata considerata la parafovea in quanto è funzionalmente simile alla fovea. Ovvero si è stabilito quando un carattere può essere visto per ragioni anatomiche, poiché la sua immagine cade all’interno della parafovea, e quando invece questo non è possibile. Per compiere questo confronto è stato svolto un calcolo trigonometrico che prende in considerazione il diametro parafoveale, la distanza piano retinico/apice lente e la distanza di somministrazione del test.

Il fine ultimo di questi passaggi è quindi riuscire a trovare una quantità angolare limite per cui il soggetto è in grado di riconoscere determinati caratteri, e poi trasformarla in una quantità metrica sul target utilizzato per la presa dati in modo tale che sia direttamente e chiaramente possibile confrontare valori attesi con valori misurati. Per svolgere il calcolo bisogna immaginare due triangoli rettangoli, i quali sono tangenti nel vertice (Figura 3).

Prima di tutto prendiamo in considerazione il triangolo più piccolo, il quale ci servirà per trovare la quantità angolare ‘γ’ corrispondente al limite parafoveale. Consideriamo la distanza punto nodale (N) – piano retinico, come cateto 1 e la distanza relativa al semidiametro della parafovea, cateto 2. Il cateto 1 misura 24 mm, cioè la lunghezza anatomica del bulbo considerando l’occhio anatomico di Gullstrand, meno 8 mm ovvero la distanza tra apice corneale e punto nodale (N), così otteniamo 0,024m - 0,008m = 0,016m. La misura del diametro parafoveale è circa 2,85 mm (Caporossi, 2017), il quale viene dimezzato poiché consideriamo solo una parte della parafovea (1,43 mm). Utilizzando il teorema di Pitagora troviamo il valore metrico dell’ipotenusa. A questo punto attraverso la formula trigonometrica “cateto1 = ipotenusa * sen γ”, siamo in grado di risalire alla quantità angolare che nel nostro caso è equivalente a γ = 5,09°.

Ora utilizzeremo il valore di ‘γ’ per fare alcune considerazioni sul secondo triangolo, essendo due triangoli simili. Prima di tutto consideriamo il secondo triangolo formato da cateto A, ovvero il cateto orizzontale e parallelo a cateto 1 del triangolo piccolo con vertice in (N). Questi misura 0,008 m (distanza punto nodale (N)/apice corneale) + 0,013 m (distanza apice corneale/lente oftalmica) + 0,40 m (distanza target/piano occhiale), per un totale di circa 0,42 m. Il cateto B invece è formato dall’insieme dei caratteri del target e rappresenta quindi la nostra incognita finale.

Prendendo in considerazione la stessa formula trigonometrica utilizzata in precedenza è possibile ricavare la quantità metrica del cateto B, equivalente a circa 3,74 cm approssimabile a 0,04 m. A questo punto è possibile risalire in maniera molto precisa al carattere presente sulla stringa che rappresenta il limite anatomico considerato come valore atteso.

Nel nostro caso, la quantità angolare ‘γ’ è uguale a 5.09° e sia lo spessore dei singoli caratteri che la distanza tra loro è equivalente a 0.5°. Il valore atteso corrisponde quindi al quinto carattere della stringa. Nel caso di specie il quinto carattere è la lettera ‘C’ per quanto riguarda l’occhio destro e ‘K’ per quanto riguarda l’occhio sinistro.

I dati dei 50 soggetti esaminati sono stati inseriti in una tabella Excel. In particolare si è riportato il numero di caratteri riconosciuti chiaramente senza compiere errori in una colonna per l’occhio destro e in una colonna per l’occhio sinistro.


I RISULTATI DELLA LETTURA E DISCUSSIONE

E’ stata inizialmente condotta una analisi della distribuzione di frequenza del numero di caratteri letti da ciascun soggetto , singolarmente per ciascun occhio. La Tabella 1 riporta i risultati: nella prima colonna è stato elencato il numero di caratteri che formano il target, nella seconda colonna (suddivisa a sua volta in occhio destro e occhio sinistro) il numero di soggetti che sono riusciti a leggere il carattere corrispondente senza compiere errori e nell’ultima colonna (costruita in maniera analoga alla precedente) sono stati riportati gli stessi dati elencati nella seconda colonna ma includendo 1 errore.

I caratteri messi in evidenza rappresentano quale carattere è rappresentato dalla maggior numerosità di soggetti. Per l’occhio

destro 13 soggetti leggono il quinto carattere e per l’occhio sinistro 14 soggetti leggono il quarto carattere. Passiamo ora alla descrizione della terza colonna. (Fig.3)

L’errore è stato valutato nel seguente modo: una volta che il soggetto leggendo la stringa compiva il primo errore, quest’ultimo veniva annotato dall’operatore e senza comunicare nulla al soggetto esaminato si procedeva con la lettura dei caratteri successivi. L’errore poteva essere di due tipi: carattere visto ma non riconosciuto (ad esempio veniva letto un ‘7’ per una ‘T’) e carattere omesso quando il soggetto non percepiva il carattere e passava alla lettura del carattere successivo. Al momento dell’analisi quindi sono stati conteggiati i caratteri subito dopo il primo errore fermandosi all’errore successivo, di nuovo rappresentato da errore di riconoscimento del carattere o omissione.


È stato deciso di effettuare questo tipo di conteggio prendendo in considerazione due fattori: caratteri simili e distrazione. Infatti ,come precedentemente descritto, la stringa è composta da caratteri alfanumerici per cercare di annullare qualsiasi tipo di adattamento e previsione di lettura da parte del soggetto esaminato. .

Dalla tabella possiamo notare che la numerosità massima dei soggetti si sposta, sia per l’occhio destro che per l’occhio sinistro, verso il riconoscimento del carattere superiore al carattere letto senza compiere errori. Infatti sia l’occhio destro che il sinistro arrivano al riconoscimento del settimo carattere.

Facendo riferimento a quanto detto precedentemente sul limite parafoveale di circa 5°, possiamo notare osservando la prima parte della tabella (quella relativa alla lettura dei caratteri senza compiere errori) che la maggior parte dei soggetti, per il campione selezionato, cade esattamente sul carattere numero 5 per quanto riguarda l’occhio destro e sul carattere numero 4 per l’occhio sinistro.


Osservando invece la seconda parte della tabella (quella relativa al conteggio dei caratteri includendo un errore), si nota che includendo un errore il numero di caratteri letti arriva al carattere 7.

Si potrebbe dedurre che effettuando il conteggio dei caratteri includendo un errore dovuto a distrazione o confusione, la performance visiva riesca a guadagnare approssimativamente la lettura di due caratteri in più e cioè un’escursione di circa 1° in più rispetto alla condizione di partenza.

Sono successivamente stati presi in considerazioni alcuni rapporti, riprendendo il concetto di limite parafoveale e quindi di limite anatomico oltre il quale il carattere non dovrebbe essere visto o riconosciuto dal soggetto, dovuto al fatto che l’immagine del carattere cade all’esterno della zona parafoveale. Dato il limite parafoveale di circa 5°, che riportato al piano del target a 40 cm per una dimensione dei caratteri di 0.5° e per la distanza tra i vari caratteri equivalente a 0.5°, possiamo dire che il limite parafoveale sul piano del target corrisponde al quinto carattere.

A questo punto è stato calcolato il rapporto tra il singolo carattere letto (prima per occhio destro e poi per occhio sinistro) e il valore numerico 5 (considerato appunto come limite anatomico). Una volta calcolato questo rapporto i tre risultati che ne possono venire fuori sono <1, >1 o = 1. Nel caso in cui il rapporto sia minore di 1 significa che i caratteri che sono stati letti rientrano all’interno del limite parafoveale, nel caso in cui il rapporto sia uguale a 1 significa che il carattere letto coincide con il limite parafoveale, se invece il rapporto è maggiore di 1 significa che il carattere letto cade al di fuori del limite anatomico parafoveale.

Il risultato maggiore di 1 può dare un’indicazione su ciò che è avvenuto durante la somministrazione del test. Cioè il soggetto probabilmente ha perso la fissazione della mira e ha spostato lo sguardo verso il carattere successivo, così da poter riuscire a riconoscere e leggere caratteri oltre al carattere limite (carattere numero 5). È stato effettuato anche in questo punto il conteggio dei rapporti minori, maggiori e uguali a 1 e raccolti in una tabella (Tab.2).


È stato effettuato in seguito il calcolo della media ponderata, prendendo in considerazione i 10 caratteri che formano la stringa del target e dando ad ognuno un peso e quindi un’importanza differente a seconda della sua distanza dalla mira di fissazione.

Al primo carattere subito dopo la mira di fissazione è stato dato peso equivalente a 1, il secondo 2, il terzo 3 e cosí via fino al decimo carattere che ha peso 10. La tabella 3 riporta i valori di media ponderata per l’occhio destro e per l’occhio sinistro considerando il conteggio dei caratteri che non comprendono errori e successivamente per i dati che comprendono un errore.

Si noti che i valori della media pesata (relativi alla media ponderata senza errori) siano molto vicini al valore anatomico della parafovea, essi infatti sono equivalenti a 5,58 ± 1,73 per l’occhio destro e 5,32 ± 1,68 per l’occhio sinistro. In maniera analoga anche la media ponderata dei valori che comprendono un errore cresce ed è molto vicina al valore 7 discusso in precedenza, essi infatti sono equivalenti a 6,68 ± 1,46 per l’occhio destro e 6,68 ± 1,64 per l’occhio sinistro.


Il confronto successivo è stato condotto tra i risultati relativi all’occhio destro e all’occhio sinistro. Dato che il test è svolto monocularmente è interessante indagare se la eventuale differenza tra i due occhi sia significativa o meno. E’ stato condotto un t test di Student per dati appaiati che ha permesso di accettare l’ipotesi di differenza non significativa tra i valori dei due occhi (p = 0,39). Analizzando i dati dell’occhio destro e dell’occhio sinistro possiamo dire che i dati raccolti provengono dalla stessa popolazione. Possiamo inoltre affermare che le eventuali differenze osservate nei campioni sono totalmente da attribuire al caso. Dunque possiamo affermare che potenzialmente i valori raccolti per l’occhio destro e per l’occhio sinistro potrebbero essere considerati in un unico campione. A questo punto è stato tracciato un grafico che delinea la distribuzione dei dati (Figura 4). Sull’asse delle ascisse troviamo i dati relativi all’occhio destro e sull’asse delle ordinate troviamo i dati relativi all’occhio sinistro. Dall’osservazione della distribuzione si nota in maniera abbastanza diretta che il legame tra i risultati dei due occhi è sovente del tutto casuale. Questo spiega perché il test di Student condotto precedentemente non veda differenze significative.


Il terzo e ultimo fattore di influenza preso in considerazione è relativo all’abitudine che il singolo soggetto prova nei confronti dell’occhiale progressivo. Più precisamente sono stati conteggiati da una parte i soggetti che indossano una nuova correzione rispetto alla correzione abituale oppure la prima correzione con lente progressiva. Dall’altra parte sono stati conteggiati i soggetti che invece si sono prestati a svolgere il test indossando la propria correzione abituale.

Nel caso in esame i portatori di una nuova correzione risultano essere 12 mentre i portatori che si sono sottoposti alla rilevazione dei dati con la correzione abituale risultano essere 38. Dopo aver condotto il test per l’occhio destro, si può affermare che l’ipotesi nulla non è rigettata e quindi che non esiste una differenza qualitativa tra soggetti portatori di occhiale abituale e soggetti portatori di nuove correzioni (p = 0.99). Si può affermare la stessa conclusione per l’occhio controlaterale con una probabilità inferiore (p = 0.16). Questi risultati potrebbero essere interpretati come una buona notizia per i nuovi portatori. Più precisamente, se non si deduce alcuna differenza significativa tra chi è considerato un portatore abituale e chi è considerato invece un nuovo portatore allora potremmo aver ragione di dire che l’utilizzo della lente progressiva non altera le qualità visive. Questo può essere usato come motivazione per convincere il nuovo portatore e per spingerlo ad adottare questo tipo di correzione.


CONCLUSIONI

Al fine di trarre le appropriate conclusioni, è bene riepilogare brevemente gli intenti, i valori attesi ed i risultati pratici dello studio. È stato considerato il limite anatomico definito dal semidiametro parafoveale ovvero 5°. A questo punto tale valore angolare, considerato alla stregua di valore atteso, è stato comparato con i dati raccolti soggettivamente. Alla luce dei test effettuati possiamo affermare che il campo visivo apprezzabile soggettivamente mediante l’uso di lenti progressive non risente in modo significativo di alterazioni dovute alla lente stessa. Lo studio ha inoltre dimostrato che non sono presenti differenze significative tra portatori abituali e nuovi portatori di lenti progressive. Per questo motivo non c’è ragione di affermare che l’utilizzo di lenti progressive vada a modificare o limitare in alcun modo il campo visivo di un soggetto abituato o meno a tale correzione.


Figura 1

Apparato per la rilevazione dei dati

Rappresentazione della mira di fissazione

Figura 2

Figura 3, Schema dell'apparato

Figura 4

Distribuzione dei caratteri letti dall’occhio destro e dall’occhio sinistro. Coefficiente di correlazione R2 = 0.014

Tabella 1

Distribuzione di frequenza del numero di caratteri riconosciuti dai soggetti per singolo occhi

Tabella 2

Conteggio rapporti tra numero di caratteri riconosciuti e limite parafoveale.

Tabella 3

Media ponderata numero di caratteri riconosciuti

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