BOOM Stories

ALHAZEN

La BOOM Stories di questo mese è dedicata a un grande precursore dell’ottica moderna, sarà necessario fare un bel salto indietro nel tempo ma cercheremo di rendere la lettura densa di interesse scientifico, storico e culturale. Il personaggio in questione è Alhazen, scienziato poliedrico vissuto nel mondo islamico a cavallo tra il X e l’XI secolo.

Alhazen in realtà è una latinizzazione del suo vero nome, derivante da una storpiatura del patronimico “Ibn al-Hasan”, però vista la complessità dell’onomastica araba continueremo a chiamarlo Alhazen, anche perché è così che è conosciuto in tutto il mondo.


Nato a Bassora (attuale Iraq) nel 965 Alhazen si trova inserito nel pieno medioevo islamico, in una terra governata dagli Abbàsidi, una delle più importanti dinastie califfali del mondo musulmano. Furono anni di notevole fioritura culturale, la città divenne un centro importante di teologia islamica e filologia araba, tant’è che Alhazen venne iniziato alle scienze e alla religione da religiosi locali. Venne anche indirizzato verso studi di pubblica amministrazione, infatti fu nominato Visir per la provincia di Bassora, come consigliere politico e religioso.


Qua la storia può forse mescolarsi col mito, si dice però che in quegli anni si convinse dell’impossibilità delle religioni di essere portatrici di verità, si dedicò quindi a uno studio approfondito delle scienze razionali, avvicinandosi in particolare alla logica di Aristotele. Si dice inoltre che l’Imam Al-Hakim, essendo venuto a conoscenza dei numerosi talenti di Alhazen, lo invitò in Egitto per risolvere l’annoso problema delle inondazioni del Nilo, mettendo in piedi un progetto di regolazione delle acque.


Si trasferì quindi a Il Cairo, dove sicuramente la vivacissima attività culturale della capitale contribuì ad avvicinarlo alle scienze antiche, dove studiò e tradusse in arabo un gran numero di testi greci, fra i tanti ricordiamo testi di Euclide e di Tolomeo riguardanti lo studio della luce e della visione.

Prima di addentrarsi nell’opera di Alhazen è necessaria una chiosa sul panorama scientifico e filosofico riguardo la teoria della visione. In quegli anni erano i geometri (soprattutto Euclide e Tolomeo) e i filosofi aristotelici ad aver messo in piedi le principali teorie sulla visione e sulla costruzione delle immagini. Nella fattispecie esisteva una contrapposizione tra due teorie cosiddette immissioniste e emissioniste. La prima prevedeva l’esistenza di èidola, una sorta di ombra, una particella, che si stacca dall’oggetto osservato per raggiungere l’occhio. Già una banale argomentazione dell’epoca consisteva nel domandarsi come era possibile che una particella di un oggetto molto grande riuscisse a entrare nell’occhio, se non grazie a un suo graduale rimpicciolimento dimensionale durante il suo tragitto verso l’occhio umano.

La teoria emissionista al contrario prevedeva l’esistenza di raggi visuali che, partendo dall’occhio, esplorano e toccano il mondo circostante per ricavarne informazioni visive. Anche questa teoria non era scevra di critiche e confutazioni: chi sosteneva che non poteva spiegare l’assenza di visione notturna, chi invece si chiedeva come era possibile che questi raggi visuali riuscissero a toccare oggetti molto lontani.


In questo contesto Alhazen sviluppò una serie di teorie della visione, raccolte nella sua magnum opus, l’Ottica, un trattato di sette libri tradotto in latino intorno al 1270 col titolo di De Aspectibus.

Prima di entrare nel merito della sua opera, è fondamentale un commento epistemologico sul metodo di Alhazen. Il suo approccio moderno prevedeva una costruzione di una teoria sulla visione basata sulla sperimentazione continua, sul mettere in dubbio, sul rifiutare gli approcci dogmatici e aprioristici. L’indagine scientifica deve partire dalle premesse, senza pregiudizi, e la ricerca della verità non può fare a meno della sperimentazione, altrimenti rimarrà sempre e solo un’opinione. E ancora, l’Ottica non è una discussione filosofica sulla natura della luce, ma un’analisi sperimentale delle sue proprietà, l’opinione può diventare scienza solo attraverso l’induzione, che deve essere per forza accompagnata dalla I’Tibar, dalla sperimentazione.


Entrando nel merito della sua opera, Alhazen prese spunto dalla teoria immissionista, abbozzando una sorta di rudimentale teoria corpuscolare della luce. Da ciascun oggetto osservato si staccano informazioni particellari dell’oggetto stesso, inerenti alla forma, al colore e alla luminosità. Ciascuna di queste particelle di dimensione infinitesimale trasportano un’informazione visiva in tutte le direzioni, ma solo quella che riesce a colpire la cornea con una traiettoria rettilinea e perpendicolare al piano dell’occhio, riesce a entrare, attraversare la pupilla, colpire il “nervo sensorio” e dare luogo alla percezione dell’immagine. Col fatto che ognuna di questa particella arrivi da un punto dell’oggetto osservato ben preciso, è possibile stabilire una corrispondenza spaziale tra le informazioni recepite e i diversi punti del corpo visibile, dando luogo anche in questo caso a un’idea essenziale di corrispondenza retinica.

Inoltre, l’unicità di questa informazione visiva che entra nel bulbo oculare evita la formazioni di immagini doppie.

In generale l’immagine è quindi il risultato della sommatoria delle informazioni visive ricevute dalle infinite particelle che compongono l’oggetto osservato, di cui solo quella con la giusta traiettoria riesce a attraversare la cornea.


Come detto precedentemente Alhazen viveva in un contesto storico e culturale estremamente florido, il mondo islamico di quei tempi era un’industria di idee e di scoperte su ogni ambito del sapere umano, dalla medicina, alla fisica, alla filosofia. Non era evidentemente troppo difficoltoso attingere ai testi degli antichi, infatti Alhazen studiò a fondo il medico romano Galeno, studiò l’anatomia dell’occhio, le sue tonache, e capì tramite semplici schemi di geometria che le immagini potevano solo disporsi sulla retina capovolte, invertite. Alhazen diede una spiegazione poi confutata i secoli successivi dagli studi di Keplero, ma la cosa da sottolineare è che questa considerazione gli diede lo spunto per sviluppare la prima idea di camera oscura. Nei suoi scritti infatti Alhazen descrisse con precisione il meccanismo di capovolgimento di un’immagine attraverso un foro stenopeico.

Parallelamente si interessò a numerose illusioni ottiche, agli errori della visione, e affermò come l’esperienza personale, la memoria e l’apprendimento possano influenzare l’eventuale formazione dell’errore. Vale la pena anche in questo caso sottolineare l’approccio moderno di quanto appena detto: la psiche umana e la soggettività, giocano un ruolo determinante nella percezione visiva, non a caso oggi si parla di psicofisica della visione.


Alhazen diedi importanti contributi anche nell’ottica geometrica propriamente detta: studiò il fenomeno della riflessione su specchi piani, sferici, concavi e convessi. Approfondì anche il tema della rifrazione, fece svariati esperimenti su superfici trasparenti di forma sferica e cilindrica, intuendo che la velocità di propagazione della luce varia a seconda della densità del mezzo interessato, e introdusse i termini di angolo di incidenza e angolo di rifrazione così come li conosciamo ora.

Scrisse infine altri trattati inerenti la luce della luna, la sua dimensione apparente, studiò le eclissi e le ombre, scrisse inoltre 25 trattati di astronomia, dove si interessò alle distanze astronomiche.


Questo breve articolo non ha certamente la pretesa di essere esaustivo, l’opera di Alhazen è sterminata e abbraccia tante discipline diverse. Ci auguriamo solo di aver instillato al lettore una piccola curiosità su questo personaggio così eclettico e pionieristico, a ben donde considerato uno dei padri dell’ottica moderna.

A cura di Gennari Lorenzo